Archeologia, Storia, Architettura a Taranto

 
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La Ceramica

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La ceramica laconica - La ceramica apula - La ceramica sovraddipinta policroma

La ceramica laconica

Il VI sec a.C. è caratterizzato a Taranto dall'abbondante importazione di ceramica corinzia e attica a figure nere; accanto a queste, giungono in numero notevole anche vasi laconici, prodotti cioè a Sparta. Come è noto, Taranto è una colonia spartana; queste importazioni attestano una precisa volontà di mantenere saldo il legame con la madrepatria, a più di cento anni dalla fondazione della città.

Coppe laconiche attribuite al Pittore dei Pesci di Taranto. 580 a.C. circa, foto AlMareInfatti, se si escludono alcuni frammenti rinvenuti a Taranto e a Saturo di ceramica laconica tardogiometrica, arrivati presumibilmente con i primi coloni, i vasi spartani cominciano ad essere acquistati solo dalla fine del VII sec. a.C. Ciò coincide con l'inizio della commercializzazione di tali prodotti sui mercati dell'intero bacino del Mediterraneo. La contiguità topografica che mostrano, in diverse aree della necropoli, le tombe con i più pregiati prodotti laconici è prova, forse, di specifici legami familiari, nonché di una forma di attaccamento alla città di origine del proprio ghenos, "stirpe" (P. Pelagatti).

La coppa è la forma maggiormente diffusa: un velo d'argilla ricopre le superfici allo scopo di far risaltare le figure in nero, che hanno particolari realizzati in graffito, o ravvivati in color rosso porpora. Alcune parti potevano anche essere rese mediante la tecnica “a risparmio”, che consiste nel lasciare le figure sul fondo naturale dell'argilla, definite in negativo dal colore circostante.

L'esterno dell'orlo è caratterizzato da una decorazione a riquadri bianchi e neri chiusi da due file di punti; una raggiera orna nella parte inferiore del bacino la zona attorno al piede.

Le coppe con l'interno della vasca decorato a tonni e delfini sono destinate a Taranto, città che deriva dal mare i mezzi di sussistenza. Provenienti da un unico contesto tombale, sono state attribuite ad un raffinato ceramografo che da esse ha derivato il nome convenzionale: il pittore dei Pesci.

E' dibattuta la questione su chi trasportasse questo vasellame, visto che Sparta non aveva una flotta. Forse commercianti di altre città, diretti a Taranto, acquistavano a Sparta un certo numero di vasi, sicuri poi di trovare acquirenti e rivenderli una volta raggiunta la colonia laconica.

Lo smercio dei prodotti spartani è tradizionalmente attribuito ai mercanti di Samo; non a caso la fine delle esportazioni di ceramica laconica avviene pressoché ovunque quando questa rompe i rapporti con Sparta, all'epoca della spedizione contro il tiranno Policrate (525 a.C.). Non è da escludere però che la commercializzazione dei vasi laconici avvenisse anche grazie ad artigiani itineranti. In particolare, sulla base del rinvenimento di un elevatissimo numero di vasi a lui attribuiti, si è ipotizzato un soggiorno stabile a Taranto o Saturo per un ceramografo, il pittore di Allard Pierson. Alla sua attività è stata ricondotta, tra l'altro, una famosa kylix con una complessa scena di danza e di banchetto che si sviluppa su più registri (540-530 a.C.), rinvenuta in una tomba di via Pitagora nel 1926.

Coppa laconica con Zeus e l'aquila, attribuita al pittore di Naukratis. 560 a.C., Parigi, LouvreI reperti che giungono a Taranto nel corso del VI secolo a.C. sono fra i più notevoli di questa classe ceramica. Fra questi si segnala la celebre coppa con Zeus e l'aquila, attribuita al pittore di Naukratis (570 a.C.), simile ad un'altra, dello stesso ceramografo, conservata al Louvre; ed ancora la kylix del pittore della caccia decorata nel tondo interno alla vasca con la raffigurazione di uno stambecco, di grande naturalismo.

Un numero ancor più elevato di ceramiche di fabbricazione laconica proviene dal santuario di Saturo, località sulla costa a circa 10 km da Taranto, secondo le fonti il primo luogo colonizzato dai Parteni. Insieme, Taranto e Saturo, costituiscono una meta privilegiata per le esportazioni spartane, la più importante per quantità, dopo l'isola di Samo.

Accanto ai vasi figurati, la necropoli tarantina ha restituito una ricca serie di contenitori a vernice nera, o con decorazioni geometriche su fondo chiaro, sempre di produzione laconica. Fra le tante forme attestate, stupisce l'assoluta assenza sia a Taranto che a Saturo dei crateri a vernice nera, rinvenuti copiosamente nell'intero bacino del Mediterraneo. Si tratta di vasi utilizzati, oltre che per mescolare acqua e vino nei banchetti, anche come cinerari o, forse, come segnacoli posti all'esterno delle tombe per indicarne la presenza. Tale dato archeologico è stato ipoteticamente ricondotto (P. Pelagatti) alla scarsa diffusione in città nel VI secolo a.C. del rito della incinerazione (solo cinque casi finora noti), ed alla nostra insufficiente conoscenza sia degli strati di abitazione tarantini che del soprassuolo della necropoli arcaica, sconvolto dall'ampliamento urbanistico del V secolo a.C.

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La ceramica apula

A partire dalla seconda metà del V sec. a.C. nascono in Italia meridionale botteghe artigianali che producono, su modello ateniese, recipienti ceramici figurati nella tecnica a “figure rosse”. Questa consiste nel coprire interamente il vaso di vernice nera, lasciando nel colore dell'argilla le figure, poi rifinite mediante un piccolo pennello.

Cratere del Pittore della nascita di Dioniso, particolare della nascita di Dioniso dalla coscia di  Zeus. Inizi del IV secolo a.C.La zona in cui si impiantano le prime officine testimoniate archeologicamente è quella di Eraclea, colonia tarantina; ciò fa supporre che tale esperienza produttiva derivi proprio dal potenziale artigianale di Taranto. E’ probabile inoltre che alla fondazione della colonia panellenica di Turi (444-443) abbiano partecipato anche ceramisti ateniesi i quali avrebbero lì impiantato botteghe artigianali.

Successivamente, dall’ultimo quarto del V sec a.C., si formano anche a Taranto officine ceramiche che danno avvio alla produzione apula, forse dopo uno specifico soggiorno ad Atene di alcune maestranze locali (M. Denoyelle).

All’interno di tale produzione distinguiamo due filoni: lo stile “semplice”, caratterizzato da forme di non grandi dimensioni e decorato con composizioni che contengono da una a quattro figure, spesso associate a Dioniso; e lo stile “ornato”, che si distingue per le forme monumentali, che possono superare anche il metro d’altezza. La decorazione in questo caso può comprendere anche più di venti figure, solitamente rappresentanti soggetti mitologici, disposti su più piani.

Amsterdam, Museo Allard Pierson. Frammento di cratere attribuito al pittore della Nascita di Dioniso, Apollo dinanzi al suo tempio. Da Taranto, fine V - inizi IV sec. a.C.Uno dei protagonisti della fase iniziale della produzione apula, quella più vicina ai modelli attici, è il pittore della nascita di Dioniso (Apulo antico II). Il monumentale cratere a volute eponimo (inizi del IV secolo), conservato al museo di Taranto, è fra i massimi capolavori della ceramica apula. Attribuito allo stesso ceramografo è un celebre frammento confluito al museo Allard Pierson di Amsterdam, con una vista prospettica di una architettura templare e l'interessante tentativo di rendere i riflessi luminosi su una statua in bronzo del dio Apollo raffigurata al suo interno. Estremamente suggestiva l'ipotesi secondo la quale tale rappresentazione possa fare riferimento ad un tempio e ad una scultura realmente esistenti all'epoca a Taranto (G. Schneider Herrmann).

La derivazione dallo stile delle officine attiche per i primi prodotti apuli è evidente nella diffusione di alcune forme specifiche, come la kelebe con ansa verticale "ad orecchia", oppure nell'usanza di indicare con iscrizioni il nome dei personaggi raffigurati sui vasi. Con il IV secolo a.C. la produzione assume caratteri di più spiccata originalità: compaiono ora nelle composizioni oggetti di uso comune, come gli strumenti musicali, mentre viene dato gran risalto alle decorazioni di tipo vegetale.  

Nello stile “ornato” si fa un maggior utilizzo di colori sovrapplicati, soprattutto il rosso, il giallo ed il bianco; con quest’ultimo colore vengono a volte rese intere figure. 

Il ceramografo convenzionalmente noto come  pittore dell’ilioupersis (370-350 a.C., Apulo medio) introdusse nel secondo venticinquennio del IV sec. a.C. l’usanza di ornare il collo dei crateri a volute con una testa femminile entro decorazioni floreali, simili a quelle che ricorrono sui mosaici ellenistici di Pella, in Macedonia (fine del IV secolo a.C.). Egli inoltre fissò anche un tipo di decorazione che avrà molta fortuna sui grandi vasi funerari: le rappresentazioni di offerta e di culto che si svolgevano attorno ad una stele oppure ad un naìskos, il tempietto funerario eretto a segnacolo sopra la tomba. All'interno di queste strutture architettoniche la figura del defunto è resa in bianco, forse un modo per indicare che l'immagine fa riferimento ad una statua. Si tratta di scene solitamente destinate al lato secondario dei crateri, tuttavia non mancano esempi nei quali entrambi i lati sono decorati con tali raffigurazioni. Alla stessa importante officina del pittore dell’ilioupersis è stata ricondotta anche l'origine dell'usanza di decorare le anse dei crateri a volute con maschere di Gorgone, rese in stucco.

Con il passare degli anni, gli stili "piano" ed "ornato" tendono ad uniformarsi in composizioni dal gusto sempre più complesso. Il pittore di Dario (340-320 a.C.) è il massimo esponente della fase produttiva classificata come "Apulo tardo". La sua bottega realizza vasi di grande impegno decorativo, destinati soprattutto alle aristocrazie della Puglia centro-settentrionale.

Loutrophoros (vaso per cerimonie nuziali) apula. Sul registro superiore, partenza di Pelope ed Ippodamia; sul registro inferiore, scena di culto presso una tomba. 320-310 a.C., Pittore del Sakkos bianco, dalla Puglia.Con la seconda metà del IV secolo a.C. anche in altre città dell’Apulia, Canosa ed Arpi soprattutto, si impiantarono officine produttive grazie a ceramografi emigrati da Taranto. Al pittore del Sakkos bianco, artista attivo in un centro dauno, è attribuita una loutrophoros (vaso per cerimonie nuziali) con la raffigurazione della partenza di Ippodamia (320-310 a.C.), rinvenuta in qualche località della Puglia settentrionale. Il vaso, proveniente dal commercio antiquario illegale, è stato di recente restituito all'Italia dal Museum of Fine Art di Boston.

Una classe particolare è costituita dai vasi fliacici, che riproducono attori impegnati appunto nella “farsa fliacica”, un genere teatrale molto diffuso in Magna Grecia, che troverà dignità letteraria agli inizi del III sec a.C. grazie al poeta tarantino Rintone. Gli attori indossavano costumi con imbottiture per ventri e sederi prominenti, dai quali spesso pendevano finti falli; le rappresentazioni traevano spunto sia dai personaggi della vita quotidiana (come nella oinochoe con corridore, del museo di Taranto) che dagli argomenti mitologici, parodie del teatro tragico euripideo.

Negli ultimi decenni gli studi specialistici hanno focalizzato l'attenzione sul significato da assegnare alle raffigurazioni dipinte sui vasi italioti; difficile infatti credere che rappresentino semplici decorazioni. Se per i personaggi ritratti accanto alle edicole funerarie si è parlato di beati o di iniziati ad un particolare culto (M. Schmidt), più complessa è la chiave di lettura delle tante scene mitiche, dove sembrano prevalere i richiami alla religione orfica e dionisiaca ed ai loro aspetti salvifici. Al tempo stesso, i diffusi riferimenti alle opere del teatro tragico sono da leggere, forse, in modo autonomo rispetto alle relative fonti letterarie (P. E. Arias).

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La ceramica sovraddipinta policroma

Intorno alla metà del IV sec. a.C., parallelamente alle ultime esperienze produttive nella tecnica a figure rosse, si afferma una nuova classe ceramica caratterizzata dall'impiego di una ampia gamma di colori (giallo, rosso, rosa, bianco) stesi direttamente sulla lucida vernice nera esterna, e nota col nome convenzionale di "ceramica di Gnathia".

Il termine deriva dall'antica città di Egnazia, località sul litorale adriatico ora compresa nel comune di Fasano (Br) che ha restituito i primi esemplari ad essere studiati e che è stata a lungo considerata l'iniziale centro di produzione ed irradiazione di questi vasi.

Frammento di cratere con scenografia teatrale, da Taranto. Wurzburg, Museo Martin von Wagner. E' rappresentata forse una scena tratta dalle "Peliadi", tragedia perduta di Euripide, nella quale le figlie di Pelia assistono da due porte socchiuse all'incontro fra il loro padre e Giasone.Oggi si è invece comunemente concordi nel riconoscere Taranto come originale centro di diffusione; la necropoli tarantina ha infatti restituito il maggior numero di esemplari ascrivibili alla fase più antica della nuova tecnica produttiva, la cui introduzione avviene con tutta probabilità all'interno degli stessi ateliers impegnati nella realizzazione dei vasi a figure rosse (T. L. B. Webster; A. De Amicis). Altre fabbriche sono state localizzate ad Eraclea e a Metaponto, oltre che in Messapia e in Daunia. Come per la ceramica apula, anche in questo caso è possibile trovare precisi riferimenti nell'ambito della produzione ateniese, in particolare con la classe detta West Slope Style ("delle Pendici Occidentali"). Le realizzazioni tarantine tuttavia si distinguono spesso per una maggiore qualità ed un tono generalmente più raffinato, in un quadro che sarà caratterizzato da reciproche influenze.

Il repertorio figurativo deriva per lo più dal mondo teatrale e dionisiaco; non mancano pure scene di genere, costituite solitamente da singole figure femminili sedute o stanti, rappresentazioni, quest'ultime, che trovano spazio soprattutto su bottiglie (forma caratteristica della ceramica di Gnathia) e lekythoi.

Le realizzazioni migliori si datano alla fase produttiva iniziale (Antico Gnathia 370-340 a.C.), quando vi è maggior interesse per composizioni più complesse.

Frammento di cratere a calice con la rappresentazione di un Satiro resa in graffito. Da Taranto, Pittore di Konnakis, 360-340 a.C. New York, Metropolitan Museum of ArtAll'officina del Pittore di Konnakis, ceramografo attivo nella seconda metà del IV sec. a.C., sono attribuiti due celebri frammenti: uno con una suggestiva rappresentazione prospettica di una scenografia teatrale (rinvenuto a Taranto ma conservato in Germania presso il Martin von Wagner Museum di Würzburg); l'altro con la raffigurazione dell'etera Konnakis (da cui il nome convenzionale all'artista) ritratta incedente mentre sostiene una fiaccola. E' una scena quest'ultima anch'essa riconducibile all'attività drammaturgica, in particolare a quella comica dei Fliaci.

Nella ceramica di Gnathia si fa ampio uso del graffito per la resa dei particolari decorativi; con tale tecnica però vengono talvolta realizzate intere figure, come avviene su un frammento di cratere a calice conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, con l'ammirevole rappresentazione di un Satiro che regge con la mano sinistra un lungo tirso (bastone con in cima una pigna, attributo di Dioniso e dei suoi seguaci).

Pertinente allo stesso vaso, pure ricondotto all'officina del Pittore di Konnakis, è un altro frammento, con una decorazione che ancora una volta trae spunto da una rappresentazione teatrale: "Il Riscatto di Ettore", tragedia perduta di Eschilo. Nella pregevole composizione, il re di Troia Priamo supplica in ginocchio Achille per riavere il corpo del figlio Ettore, caduto in battaglia per mano dell'eroe greco.

L'utilizzo delle due tecniche, graffito e sovraddipintura, si dispiega su lati differenti del cratere, così come avviene in altri esemplari attribuiti alle fasi iniziali della produzione, probabilmente ancora caratterizzate dalla volontà di sperimentare le diverse soluzioni decorative (S. Fozzer).

Frammento di cratere a calice di provenienza tarantina, Priamo supplica in ginocchio Achille. Pittore di Konnakis, 360-340 a.C. New York, Metropolitan Museum of ArtNella ceramica di Gnathia è molto diffusa anche la rappresentazione del tralcio di vite, spesso unico elemento decorativo sulle oinochoai. Esso subisce una evoluzione nella fase produttiva successiva (Medio Gnathia 340-325 a.C.), quando viene realizzato in maniera più naturalistica (new wine) sostituendo il precedente schema decorativo introdotto dal Pittore della Rosa, dove il ramo della pianta era reso in senso verticale. Un raffinato esempio di tale innovazione, attribuita al Pittore della Bottiglia del Louvre, è su un frammento di cratere da Taranto.

Nella fase detta Tardo Gnathia (325-275 a.C.) si assiste ad un progressivo impoverimento del linguaggio figurativo. Gli studi più recenti hanno dimostrato che l'introduzione della baccellatura ad imitazione dei prodotti metallici, tradizionalmente ricondotta a tale periodo, interessi in realtà in modo trasversale l'intero arco produttivo di questa classe ceramica (L. Puritani). Datato agli inizi del III secolo a.C., si segnala il notevole Askòs plastico conformato ad asino che trasporta due anfore (Museo Archeologico Nazionale di Taranto).

La produzione di ceramica sovraddipinta continua anche dopo la conquista romana e fino agli inizi del II sec. a.C., raramente però con esemplari di pregio (fase C 275-225 a.C. - fase D 225-175 a.C.). Appare evidente una progressiva stilizzazione del tralcio di vite e del ramo di edera, eseguiti ora in maniera sempre più frettolosa, in ciò denotando una certa trascuratezza nella fase decorativa. Diffusissime le coppe ornate con rami penduli di edera, alternati a rosette definite semplicemente tramite una serie di cerchi radiali attorno ad un tondo centrale, secondo uno schema già noto ed attribuito anch'esso al Pittore della Rosa.

 
 

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