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La Ceramica |
[sommario] La ceramica laconica - La ceramica apula - La ceramica sovraddipinta policroma |
Il VI sec a.C. è caratterizzato a Taranto dall'abbondante importazione di ceramica corinzia e attica a figure nere; accanto a queste, giungono in numero notevole anche vasi laconici, prodotti cioè a Sparta. Come è noto, Taranto è una colonia spartana; queste importazioni attestano una precisa volontà di mantenere saldo il legame con la madrepatria, a più di cento anni dalla fondazione della città.
La coppa è la forma maggiormente diffusa: un velo d'argilla ricopre le superfici allo scopo di far risaltare le figure in nero, che hanno particolari realizzati in graffito, o ravvivati in color rosso porpora. Alcune parti potevano anche essere rese mediante la tecnica “a risparmio”, che consiste nel lasciare le figure sul fondo naturale dell'argilla, definite in negativo dal colore circostante. L'esterno dell'orlo è caratterizzato da una decorazione a riquadri bianchi e neri chiusi da due file di punti; una raggiera orna nella parte inferiore del bacino la zona attorno al piede. Le coppe con l'interno della vasca decorato a tonni e delfini sono destinate a Taranto, città che deriva dal mare i mezzi di sussistenza. Provenienti da un unico contesto tombale, sono state attribuite ad un raffinato ceramografo che da esse ha derivato il nome convenzionale: il pittore dei Pesci. E' dibattuta la questione su chi trasportasse questo vasellame, visto che Sparta non aveva una flotta. Forse commercianti di altre città, diretti a Taranto, acquistavano a Sparta un certo numero di vasi, sicuri poi di trovare acquirenti e rivenderli una volta raggiunta la colonia laconica. Lo smercio dei prodotti spartani è tradizionalmente attribuito ai mercanti di Samo; non a caso la fine delle esportazioni di ceramica laconica avviene pressoché ovunque quando questa rompe i rapporti con Sparta, all'epoca della spedizione contro il tiranno Policrate (525 a.C.). Non è da escludere però che la commercializzazione dei vasi laconici avvenisse anche grazie ad artigiani itineranti. In particolare, sulla base del rinvenimento di un elevatissimo numero di vasi a lui attribuiti, si è ipotizzato un soggiorno stabile a Taranto o Saturo per un ceramografo, il pittore di Allard Pierson. Alla sua attività è stata ricondotta, tra l'altro, una famosa kylix con una complessa scena di danza e di banchetto che si sviluppa su più registri (540-530 a.C.), rinvenuta in una tomba di via Pitagora nel 1926.
Un numero ancor più elevato di ceramiche di fabbricazione laconica proviene dal santuario di Saturo, località sulla costa a circa 10 km da Taranto, secondo le fonti il primo luogo colonizzato dai Parteni. Insieme, Taranto e Saturo, costituiscono una meta privilegiata per le esportazioni spartane, la più importante per quantità, dopo l'isola di Samo. Accanto ai vasi figurati, la necropoli tarantina ha restituito una ricca serie di contenitori a vernice nera, o con decorazioni geometriche su fondo chiaro, sempre di produzione laconica. Fra le tante forme attestate, stupisce l'assoluta assenza sia a Taranto che a Saturo dei crateri a vernice nera, rinvenuti copiosamente nell'intero bacino del Mediterraneo. Si tratta di vasi utilizzati, oltre che per mescolare acqua e vino nei banchetti, anche come cinerari o, forse, come segnacoli posti all'esterno delle tombe per indicarne la presenza. Tale dato archeologico è stato ipoteticamente ricondotto (P. Pelagatti) alla scarsa diffusione in città nel VI secolo a.C. del rito della incinerazione (solo cinque casi finora noti), ed alla nostra insufficiente conoscenza sia degli strati di abitazione tarantini che del soprassuolo della necropoli arcaica, sconvolto dall'ampliamento urbanistico del V secolo a.C. |
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A partire dalla seconda metà del V sec. a.C. nascono in Italia meridionale botteghe artigianali che producono, su modello ateniese, recipienti ceramici figurati nella tecnica a “figure rosse”. Questa consiste nel coprire interamente il vaso di vernice nera, lasciando nel colore dell'argilla le figure, poi rifinite mediante un piccolo pennello.
Successivamente, dall’ultimo quarto del V sec a.C., si formano anche a Taranto officine ceramiche che danno avvio alla produzione apula, forse dopo uno specifico soggiorno ad Atene di alcune maestranze locali (M. Denoyelle). All’interno di tale produzione distinguiamo due filoni: lo stile “semplice”, caratterizzato da forme di non grandi dimensioni e decorato con composizioni che contengono da una a quattro figure, spesso associate a Dioniso; e lo stile “ornato”, che si distingue per le forme monumentali, che possono superare anche il metro d’altezza. La decorazione in questo caso può comprendere anche più di venti figure, solitamente rappresentanti soggetti mitologici, disposti su più piani.
La derivazione dallo stile delle officine attiche per i primi prodotti apuli è evidente nella diffusione di alcune forme specifiche, come la kelebe con ansa verticale "ad orecchia", oppure nell'usanza di indicare con iscrizioni il nome dei personaggi raffigurati sui vasi. Con il IV secolo a.C. la produzione assume caratteri di più spiccata originalità: compaiono ora nelle composizioni oggetti di uso comune, come gli strumenti musicali, mentre viene dato gran risalto alle decorazioni di tipo vegetale. Nello stile “ornato” si fa un maggior utilizzo di colori sovrapplicati, soprattutto il rosso, il giallo ed il bianco; con quest’ultimo colore vengono a volte rese intere figure. Il ceramografo convenzionalmente noto come pittore dell’ilioupersis (370-350 a.C., Apulo medio) introdusse nel secondo venticinquennio del IV sec. a.C. l’usanza di ornare il collo dei crateri a volute con una testa femminile entro decorazioni floreali, simili a quelle che ricorrono sui mosaici ellenistici di Pella, in Macedonia (fine del IV secolo a.C.). Egli inoltre fissò anche un tipo di decorazione che avrà molta fortuna sui grandi vasi funerari: le rappresentazioni di offerta e di culto che si svolgevano attorno ad una stele oppure ad un naìskos, il tempietto funerario eretto a segnacolo sopra la tomba. All'interno di queste strutture architettoniche la figura del defunto è resa in bianco, forse un modo per indicare che l'immagine fa riferimento ad una statua. Si tratta di scene solitamente destinate al lato secondario dei crateri, tuttavia non mancano esempi nei quali entrambi i lati sono decorati con tali raffigurazioni. Alla stessa importante officina del pittore dell’ilioupersis è stata ricondotta anche l'origine dell'usanza di decorare le anse dei crateri a volute con maschere di Gorgone, rese in stucco. Con il passare degli anni, gli stili "piano" ed "ornato" tendono ad uniformarsi in composizioni dal gusto sempre più complesso. Il pittore di Dario (340-320 a.C.) è il massimo esponente della fase produttiva classificata come "Apulo tardo". La sua bottega realizza vasi di grande impegno decorativo, destinati soprattutto alle aristocrazie della Puglia centro-settentrionale.
Una classe particolare è costituita dai vasi fliacici, che riproducono attori impegnati appunto nella “farsa fliacica”, un genere teatrale molto diffuso in Magna Grecia, che troverà dignità letteraria agli inizi del III sec a.C. grazie al poeta tarantino Rintone. Gli attori indossavano costumi con imbottiture per ventri e sederi prominenti, dai quali spesso pendevano finti falli; le rappresentazioni traevano spunto sia dai personaggi della vita quotidiana (come nella oinochoe con corridore, del museo di Taranto) che dagli argomenti mitologici, parodie del teatro tragico euripideo. Negli ultimi decenni gli studi specialistici hanno focalizzato l'attenzione sul significato da assegnare alle raffigurazioni dipinte sui vasi italioti; difficile infatti credere che rappresentino semplici decorazioni. Se per i personaggi ritratti accanto alle edicole funerarie si è parlato di beati o di iniziati ad un particolare culto (M. Schmidt), più complessa è la chiave di lettura delle tante scene mitiche, dove sembrano prevalere i richiami alla religione orfica e dionisiaca ed ai loro aspetti salvifici. Al tempo stesso, i diffusi riferimenti alle opere del teatro tragico sono da leggere, forse, in modo autonomo rispetto alle relative fonti letterarie (P. E. Arias). |
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La ceramica sovraddipinta policroma Intorno alla metà del IV sec. a.C., parallelamente alle ultime esperienze produttive nella tecnica a figure rosse, si afferma una nuova classe ceramica caratterizzata dall'impiego di una ampia gamma di colori (giallo, rosso, rosa, bianco) stesi direttamente sulla lucida vernice nera esterna, e nota col nome convenzionale di "ceramica di Gnathia". Il termine deriva dall'antica città di Egnazia, località sul litorale adriatico ora compresa nel comune di Fasano (Br) che ha restituito i primi esemplari ad essere studiati e che è stata a lungo considerata l'iniziale centro di produzione ed irradiazione di questi vasi.
Il repertorio figurativo deriva per lo più dal mondo teatrale e dionisiaco; non mancano pure scene di genere, costituite solitamente da singole figure femminili sedute o stanti, rappresentazioni, quest'ultime, che trovano spazio soprattutto su bottiglie (forma caratteristica della ceramica di Gnathia) e lekythoi. Le realizzazioni migliori si datano alla fase produttiva iniziale (Antico Gnathia 370-340 a.C.), quando vi è maggior interesse per composizioni più complesse.
Nella ceramica di Gnathia si fa ampio uso del graffito per la resa dei particolari decorativi; con tale tecnica però vengono talvolta realizzate intere figure, come avviene su un frammento di cratere a calice conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, con l'ammirevole rappresentazione di un Satiro che regge con la mano sinistra un lungo tirso (bastone con in cima una pigna, attributo di Dioniso e dei suoi seguaci). Pertinente allo stesso vaso, pure ricondotto all'officina del Pittore di Konnakis, è un altro frammento, con una decorazione che ancora una volta trae spunto da una rappresentazione teatrale: "Il Riscatto di Ettore", tragedia perduta di Eschilo. Nella pregevole composizione, il re di Troia Priamo supplica in ginocchio Achille per riavere il corpo del figlio Ettore, caduto in battaglia per mano dell'eroe greco. L'utilizzo delle due tecniche, graffito e sovraddipintura, si dispiega su lati differenti del cratere, così come avviene in altri esemplari attribuiti alle fasi iniziali della produzione, probabilmente ancora caratterizzate dalla volontà di sperimentare le diverse soluzioni decorative (S. Fozzer).
Nella fase detta Tardo Gnathia (325-275 a.C.) si assiste ad un progressivo impoverimento del linguaggio figurativo. Gli studi più recenti hanno dimostrato che l'introduzione della baccellatura ad imitazione dei prodotti metallici, tradizionalmente ricondotta a tale periodo, interessi in realtà in modo trasversale l'intero arco produttivo di questa classe ceramica (L. Puritani). Datato agli inizi del III secolo a.C., si segnala il notevole Askòs plastico conformato ad asino che trasporta due anfore (Museo Archeologico Nazionale di Taranto). La produzione di ceramica sovraddipinta continua anche dopo la conquista romana e fino agli inizi del II sec. a.C., raramente però con esemplari di pregio (fase C 275-225 a.C. - fase D 225-175 a.C.). Appare evidente una progressiva stilizzazione del tralcio di vite e del ramo di edera, eseguiti ora in maniera sempre più frettolosa, in ciò denotando una certa trascuratezza nella fase decorativa. Diffusissime le coppe ornate con rami penduli di edera, alternati a rosette definite semplicemente tramite una serie di cerchi radiali attorno ad un tondo centrale, secondo uno schema già noto ed attribuito anch'esso al Pittore della Rosa. |
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